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Il rimpatrio volontario, la Direttiva 2008/115/CE e la Legge 129/2011

La direttiva rimpatri concepisce un sistema di allontanamento che rispetti i diritti fondamentali e la dignità dei migranti irregolari e che privilegia il rimpatrio volontario del cittadino straniero irregolare sul territorio nazionale, ciò fatta salva la sussistenza di ragioni in senso contrario da valutare nel caso concreto.

Soltanto nel caso in cui l’interessato non sia partito volontariamente entro il termine concessogli ovvero nel caso in cui non venga concesso alcun termine, lo Stato potrà fare ricorso alle misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio.

Il 24 dicembre 2010 è decorso il termine entro il quale l’Italia avrebbe dovuto recepire tale normativa comunitaria e ciò ha provocato un dibattito vivace riguardo alla questione del rimpatrio volontario. La norma interna, basata sul regime di allontanamento delineato dal legislatore nazionale, vigente al momento della scadenza del termine per il recepimento della norma sovranazionale, è apparsa in netto contrasto con lo spirito della direttiva comunitaria.

Dopo l’intervento delle Alte Corti (dapprima la Corte di Giustizia con la sentenza 28.4. 2011 C-61/11 PPU caso El Dridi, e successivamente il Consiglio di Stato, con la decisione dell’Adunanza Plenaria n.7 del 10/05/2011), il 23/06/2011 è stato emanato il Decreto Legge n.89, successivamente convertito nella legge 129 del 02/08/2011.

La nuova legge ha apportato modifiche alla disciplina dell’espulsione dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea che secondo le intenzioni del legislatore avrebbero dovuto costituire l’attuazione – sia pure tardiva – della direttiva rimpatri. Con la legge 129/2011 sono state modificate diverse disposizioni del D. Lgs. 286/98.

Ci sono però alcune questioni problematiche riguardo l’istituto del rimpatrio volontario.

Con l’introduzione delle parole “caso per caso” nell’art. 13 comma 2°, il legislatore ha solo formalmente adeguato la norma interna alla direttiva rimpatri, che, in più occasioni, appunto prescrive che le decisioni di rimpatrio siano adottate tenendo nel debito conto le esigenze specifiche di ogni singolo caso. L’introduzione del nuovo comma 2 ter dell’art. 13 ha portato nell’ordinamento interno una disposizione in linea con la norma comunitaria in quanto ritiene che l’interesse dello Stato a disporre l’espulsione, o, se già disposta, ad eseguirla coattivamente, non sussiste nei confronti dello straniero che sta lasciando il territorio nazionale in modo spontaneo oppure in seguito ad un ordine di allontanamento (anche dopo il termine).

A ben guardare tuttavia, la legge 129/2011 ha modificato anche il comma 4° dell’art. 13 il quale dispone i casi in cui l’espulsione è eseguita dal Questore con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Tra i diversi casi disciplinati è particolarmente importante quello riguardante la sussistenza del rischio di fuga, di cui al comma 4 bis. Secondo il comma 4 bis il rischio di fuga si può configurare, se ricorre almeno una delle circostanze, elencate nella stessa disposizione, con la conseguenza che si procede all’esecuzione coattiva dell’espulsione senza il riconoscimento di un termine per la partenza volontaria. Le ipotesi in cui viene ritenuto sussistente il rischio di fuga esauriscono quasi totalmente i casi in cui normalmente si trova un cittadino extracomunitario irregolare sul territorio nazionale.

La norma si pone quindi in contrasto con la direttiva rimpatri secondo la quale la priorità è il rimpatrio volontario.

La possibilità del rimpatrio volontario è prevista nell’ordinamento interno al comma 5° dell’art. 13 ma solo attraverso una richiesta espressa da parte dello straniero. Una volta che lo straniero inoltra la richiesta, la Questura provvede a dare adeguata informazione allo straniero della facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue. L’adeguata informazione assume un ruolo fondamentale per l’accesso al rimpatrio volontario che è praticabile solo previa richiesta e solo quando non ricorrono le cause ostative previste.

La norma dispone che la valutazione discrezionale del singolo caso è compiuta dal Prefetto, mentre l’intervista amministrativa nel corso della quale lo straniero deve chiedere il termine per la partenza volontaria ed allegare le circostanze specifiche del suo caso è compiuta dalla Questura.

Inoltre, la norma interna dispone che una volta concesso il termine per la partenza volontaria, il Questore ha la facoltà di chiedere allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite. Tale indagine patrimoniale altro non è se non una tutela contro il rischio di fuga.

Com’è intuibile un sistema così impostato non dà concreta attuazione alla Direttiva in parola, rendendo tutt’altro che effettivo e accessibile l’istituto del rimpatrio volontario

L’ultima novità introdotta riguardo l’istituto della partenza volontaria è la previsione di una sanzione penale per il contravventore delle misure previste dall’art. 13 comma 5°. L’introduzione della sanzione penale non è astrattamente incompatibile con il diritto europeo, ma rimane difficile da capire l’utilità che la sanzione penale possa avere sull’obiettivo del rimpatrio volontario indicato dalla direttiva 2008/115/CE.

In ultima analisi, le novità introdotte dalla legge 129/2011 sembrano aver attuato solo apparentemente la Direttiva cd. rimpatri, rimanendo il rimpatrio volontario la regola per il sistema comunitario e l’eccezione per il sistema nazionale.